Xavier Tilliette International Institute

Xavier Tilliette interprete di Blondel

  Quando ci si accinge a studiare la caratterizzazione e lo sviluppo del pensiero di un autore, si sa in genere che non è possibile raggiungere lo scopo che ci si propone se non si sottopone ad un’opera di ricostruzione storico-critica il cammino della sua formazione. In tal caso, occorre precisare l’inizio o gli inizi che danno significato effettivo a tutto il suo svolgimento, per trarre poi la consapevolezza del senso preciso del suo punto d’approdo. E questo vale a maggior ragione per un autore poliedrico come il p. Tilliette, la cui Entdeckungsreise ha potuto trarre beneficio da molteplici sollecitazioni. Tuttavia, ci sono già, nel secondo tomo di questa stessa silloge di scritti in suo onore, varie testimonianze della sua instancabile attività scientifica: si tratta di voci diverse tra di loro, pur tuttavia riconducibili ad una unica costante, che è poi l’intento di servire (a causa comune della cultura e della filosofia a religiosa e con esse nello stesso tempo la volontà di mettere in luce nel suo configurarsi il vastissimo impegno sopranazionale del p. Tilliette.

    Tutte queste voci ne hanno presentato, in modo esplicito, l’attività editoriale; hanno dato un contributo alla chiarificazione delle sue linee di ricerca; hanno mostrato con quanta raffinatezza e rigore egli abbia sviluppato e arricchito i principali aspetti della coscienza di una visione umanistica e religiosa della cultura europea. Nel farlo, hanno messo in luce i tratti salienti dei suoi vari ambiti tematici e ne hanno ripercorso, sia pure in maniera sintetica, la storia. Lo stesso Tilliette, poi, ha redatto per questa Festschrift un agile e ragionato autoportrait, Dans mes propres affaires, in cui ripercorre a ritroso il proprio cammino speculativo, fin dalle fasi della propria formazione di Gesuita, svoltasi con l’incoraggiamento e l’esempio di maestri e amici quali: Henri de Lubac, Jean Daniélou, Gaston Fessard, Henri Bouillard, Pierre Teilhard de Chardin, Marcel Régnier.

  Last but not least, basta scorrere le quasi 200 larghe pagine, e gli oltre 2000 titoli su cui si puntella la sua bibliografia, per poter dare un significato concreto alle sue linee di ricerca, e ai suoi ambiti di interesse, che si sono mantenute sostanzialmente costanti nell’arco dei vari decenni in cui si è articolata e si snoda tuttora con una energia di carattere eccezionale tutta la sua produzione. Tanto che, come viene rilevato molto opportunamente da Jean-Louis Vieillard-Baron, nella prefazione posta in apertura di questo stesso volume, per Tilliette “la philosophie est le point centrale, mais la christologie philosophique oriente la réflexion vers une exigence théologique”.

  Tutte queste ragioni consentono di spostare la questione dallo studio e dall’analisi della nascita dei problemi filosofici del P. Tilliette alla trattazione del suo punto d’arrivo. Qui, pertanto, non si vogliono ripercorrere idealmente le varie tappe del suo diuturno, laborioso e immane, lavoro intellettuale, ma soltanto fornire alcune chiavi di lettura utili per rendersi conto del significato preciso delle sue conclusioni e così comprendere i motivi di fondo del suo cammino intellettuale, che si sono via via sempre più arricchiti di nuove esperienze speculative e pratiche, conquistate in apparenza in ordine sparso e a seguito di circostanze impreviste, ma in cui a ben vedere regna una certa trama ed è perciò possibile trovare la traccia di un sentiero che ne costituisce l’unità interna.

  Chi scrive queste pagine ha avuto la fortuna di esser stato, dal 1976 a1 1982, alla Pontificia Università Gregoriana, un uditore delle sue lezioni e di aver potuto conversare spesso e lungamente con lui. Fui, anzi, uno dei suoi alunni romani più fedeli e assidui. Provenivo dalla facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza, non proprio dominata dal Cursus studiorum ecclesiasticorum, e avvertivo l’esigenza di superare 1o scarto tra i due diversi tragitti. Mi rivolsi al p. Tilliette (ma anche all’allora prof. Peter Henrici) in cerca di un argomento e di consiglio dapprima per la mia tesi di licenza e poi per quella di dottorato in teologia, in entrambi i casi su Henri de Lubac. Egli non solo dette forma concreta e definita ai miei progetti di ricerca, ma addirittura trovò il modo e il tempo di seguirne passo per passo gli sviluppi, nonostante non ne fosse i1 relatore. Ebbene, proprio in quelle circostanze, raccolto attorno alla sua austera ma sempre benevola e sollecita figura, incominciai a maturare per 1a prima volta la convinzione del fatto che L’Azione di Maurice Blondel “appare come un’apologetica,della ‘soglia’ fondamentale, di levatura impressionante. Essa picchetta un itinerarium voluntatis et mentis ad Deum, ritmato dal battito riflesso dei desiderio insoddisfatto, della ‘sproporzione’. Tanto che alla fine il ‘C’è’ dell’adesione, uscendo dai limiti della filosofa, passa oltre il confine, rappresenta l’accesso decisivo al soprannaturale che polarizzava tutta la ricerca”.

     Il p. Tilliette, infatti, faceva sentire il bisogno, l’importanza e l’urgenza di un progetto che fosse capace di discernere i1 riflesso dei dati teologici nell’ambito del lavoro filosofico. Questo piano di ricerca gli era stato ispirato e alimentato, a monte, dalla frequentazione del p. Gaston Fessard che intendeva la stia filosofia come “dépendante” della “première Action” di M. Blondel; e Tilliette, nei suoi corsi più che nelle sue pubblicazioni a stampa, cercava di realizzarne dei frammenti, sforzandosi di concentrare la propria attenzione in particolare sull’idea di una cristologia filosofica. A quest’ultimo ambito tematico, che trova adeguata espressione nel rinverdimento della celebre formula nemo theologus risi philosophus, non a caso sono state poi dedicate numerose sue opere, ma anche conferenze, relazioni a convegni, recensioni, note, scritti vari e, in ordine di tempo, i più recenti volumi, di cui alcuni ancora in corso di stampa o addirittura freschi di inchiostro.

  Per cercare di chiarire come realizzare una comunicazione tra teologia e filosofia, dopo essersi occupato delle principali vie che nel corso della storia del pensiero moderno sono state tentate per realizzare l’Übergang dall’uno all’altro dei due termini, o addirittura come Lessing che ha tematizzato l’assenza di un passaggio, egli suggerisce un proprio “punto di vista sul percorso dalla teologia alla filosofia”. Tale percorso, per Tilliette, è come l’asse di una filosofia pienamente cristiana. E, per illustrarne i tratti fondamentali, egli si avvale dell’analisi di tre autori, per sua esplicita ammissione, strettamente apparentati tra loro: Maurice Blondel, Gaston Fessard e Claude Bruaire. Essi, con i1 loro itinerario speculativo e la loro testimonianza personale, rappresentano degli esempi paradigmatici della fede che è volta alla ricerca imprescindibile dell’intelligenza razionale delle proprie cose; manifestano meglio di ogni altro ingegno perché e come debba essere intesa la solidarietà dei due termini; hanno, poi, i1 pregio dei progetti filosofici che danno avvio e significato effettivo al tentativo di superamento della distanza tra il filosofico e il teologico.

     Il primo degli autori francesi citati, in particolare, con la sua dialettica di volere e agire, volontà volente e volontà voluta, predispone, quasi come vis a tergo, la fisionomia del procedimento da seguire e determina i contrassegni filosofici del percorso su cui incamminarsi, per “fare da credente uno sforzo da filosofo”, nella convinzione che “1a fede ispira la filosofia, calamita e guida il suo itinerario, itinerarium mentis in Deum.’La filosofia è la santità della ragione’, ossia ..un obsequium razionale”. L’intento fondamentale del filosofo di Aix-en-Provence, non è perciò quello di elaborare una sorta di fenomenismo puro, sia pure soltanto metodologico; non è, secondo Tilliette, come voleva Henry Duméry, una sorta di epoché eidetica, ossia una “sospensione provvisoria di tutti gli elementi dell’azione, in attesa della ratifica dell’opzione’, ma è la rigenerazione della filosofia, che, pur senza sconfinare nel soprannaturale, visto come necessario e nello stesso tempo come impossibile da raggiungere solo con l’ausilio delle proprie forze, perché assolutamente gratuito, fa emergere come pierres d’attente o meglio per speculum et in aenigmate, le realtà cristiane.

     In Blondel, allora, l’invenzione dell’Unum necessarium non è un qualcosa di arbitrario, non è un lampo improvviso, ma è piuttosto il risultato del deterministico concatenamento logico – benché non sempre pienamente omogeneo – dell’azione umana che procede per tappe ascendenti, in cui i singoli anelli della catena sono come dei martiri, “importuns et indiscrets, che alludono ad altro e ci dispongono a proseguire la marcia fino al punto in cui “nous sentons que nous devons désirer intimement quelque chose d’analogue à ce que, du dehors, les dogmes nous proposent”.

  Cosa significa tutto ciò? Secondo Tilliette, che qui dissente dall’interpretazione un po’ sbrigativa del p. Yves de Montcheuil, già in un celebre passo de L’Action del 1893 Blondel precisa i termini del discorso; e nel farlo enuncia ciò che intende per soprannaturale, a1 fine di dissipare ogni equivoco e dì evitare ogni confusione di competenze. Per Blondel, infatti, “Il ne s’agit nullement de déterminer le contenu même de la Révélation divine. Dans son principe, en son objet et dans sa fin, la Révélation, pour être ce qu’il faut qu’elle soit si elle est doit échapper à la raison; et nul effort de l’homme purement homme n’en saurait pénétrer l’essence”. Il soprannaturale in quanto tale, totalmente imprescrittibile e gratuito, nella sua essenza, perciò non può e non deve, a nessun titolo, essere predeterminato, cioè rientrare nell’ordine naturale. Tuttavia, senza con ciò avanzare la pretesa di naturalizzarla, è possibile constatarne la presenza segreta nella nostra volontà, quasi come un “cri de la nature””. Il compito principale del filosofo consiste allora nel rilevarne e metterne in evidenza le tracce, cioè, in altri termini, nello “établir que, pleinement conséquents à notre voeu secret, nous allons jusqu’à la pratique littérale; c’est d’exprimer les inévitables exigences de la pensée et comme la prière naturelle de la volonté humaine””‘. L’azione umana oltrepassa l’uomo, perché qualcosa di divino abita in lui, e la ragione deve impiegare ogni sforzo per mostrare che in ogni coscienza umana normale vi è una “attente cordiale du messie inconnu; baptême de désir, que la science humaine est impuissante à provoquer, parce que ce besoin même est un don. Elle en peut montrer la nécessité, elle ne le peut faire naitre. In altri termini, come si dice nella Lettre, la nozione di immanenza, ossia la condizione stessa della filosofia moderna, nella sua assoluta ed intransigente indipendenza, “ne se réalise dans notre conscience que par la présence effective de la notion du transcendant”, Perciò, il problema del soprannaturale è i1 risultato del segreto lavorio interno del pensiero che prende via via piena coscienza di se stesso; o meglio è 1a condizione stessa del filosofare, preso nel suo più libero, più autonomo e più rigoroso procedere! Questo punto di inserzione, o bisogno di espansione, è stato chiamato da Henri Bouillard soprannaturale indeterminato ed ha suscitato la vivace e vibrata reazione di un altro interprete del filosofo di Aix-en-Provence, cioè di Henry Duméry. Per Tilliette, l’espressione usata da Bouillard non è stata, è vero, del tutto felice ed è stata perciò fraintesa, ma essa non era né vaga né imprecisa, stava soltanto ad indicare uno stadio incoativo in cui il soprannaturale non era ancora caratterizzabile in senso cristiano. Essa intendeva render conto del fatto che tutto in noi prepara e conduce all’opzione ultima; e quindi “on peut regarder L’Action, surtout à partir de la cinquième et dernière étape de la troisième partie, comme une gigantesque prolepse, une anticipation de l’ultime option, option d’ailleurs explicitée dans l’alternative de la quatrième partie: acte de foi – Credo, Domine-, mais aussi affirmation ontologique (‘c’est’) et donc constamment sous-jacente, impliquée et synthétiquement développée”‘.

  Questo progetto si dispiega per così dire in filigrana e dispone gradualmente, e con i mezzi forniti dalla sola ragione, a confrontare i dogmi della dottrina cristiana con le esigenze più profonde e reali della nostra volontà effettiva per ritrovare nei dogmi, se ci sono, le risposte attese dalla ragione. Si tratta di una incursione, come la chiama Tilliette, che si presenta nel discorso filosofico blondeliano e si inserisce in particolare nelle battute conclusive de L’Action, ritmate dalle varie tappe della rigorosa applicazione del metodo d’immanenza, senza voler oltrepassare la portata scientifica del concatenamento logico-razionale, cioè senza andare oltre l’analisi puramente scientifica.

  Gli esempi topici più importanti, usati dal Blondel per dispiegare questa trama, sono costituiti soprattutto dallo “schématisme eucharistique”, che assieme al pancristismo, “auquel il est apparenté comme pure effigie de l’action-passion”, “est le talisman, le chiffre secret'”. La figura del Cristo, nella sua complessità e nella sua realtà teandrica, quindi, è il vinculum, le lien substantiel che conferisce coesione interna al discorso dell’azione in tutte le sue varie articolazioni e direzioni. La sua trattazione viene preparata con prudenza, e non senza qualche oscurità, nelle ultime due parti de L’Action, attraverso l’uso esplicito di vocaboli come Médiateur, sauveur, libérateur, ecc., e fa parte dell’architettura dello stesso testo come “1a pierre faîtière ou comme la grande mosaîque de la voûe”. Con i1 pan-cristismo, perciò, anche se con qualche prudenza e cioè in forma ipotetica, “est érigée, formellement et réellement, la clef de voûte ontologique de la création matérielle objective, et ébauchée la ‘métaphysique à la seconde puissance’ qui parachève la destinée humaine”. Tanto che anche nella Lettre, si ribadisce senza le ambagi del gergo che il primogenitus  omnis creaturae in quo constant omnia, per usare un’espressione paolina, è “le lien de tout être, est 1e Réalisant universel”.

    La sua trattazione, come si può desumere dai testi e come si può leggere in una lettera inedita a Paul Archambault, datata 15 febbraio 1917, si snoda a partire dall’intenzione fondamentale di Maurice Blondel, assieme ad altri ambiti tematici quali ad esempio : “l’idea della realtà del vinculum substantiale, ossia del composto umano, del composto sociale – il senso della comunione dei santi in Christo e di ciò che, per abbreviare, chiamerò i1 mio pancristismo – l’idea della superiorità dell’atto effettivo sul concetto, il progetto, l’intenzione formale; – l’idea della pratica letterale e sacramentale ecc.”. In particolare, i1 vinculum, mutuato dalla celebre ipotesi leibniziana e che costituisce l’argomento della tesi latina, nell’architettura dell’opera dei filosofo di Aix-en-Provence viene per lo più usato come sinonimo di azione e diventa così la chiave di volta che determina tutti i nodi della dialettica delle azioni. Esso è un principio d’unione e svolge i1 compito di risolvere i1 problema dell’unità, perché tutta la dialettica de L’Azione sarebbe varia se ogni cosa, ogni fenomeno, non avesse il suo posto e la sua funzione nell’ambito del reale e quindi non fosse necessaria. “Cerca i1 giunto, cerca il vincolo – sembra esortare Blondel – e saprai allora come tutto si tiene unito, in Uno”. Il vincolo per eccellenza, ossia il Vinculum vinculorum, è la realtà teandrica del Verbo incarnato, in cui si realizza il “connubio” tra l’umanità e la divinità e questo porta al pancristismo, al Christus totus (holos) che nella teoresi soprattutto del primo Blondel rappresenta la chiave d’oro di tutti i suoi scritti. Tale cristologia viene per lo più accennata, svolta in maniera implicita e non sistematicamente elaborata, nondimeno costituisce i1 fulcro della sua teologia e del suo pensiero filosofico, perciò “fungiert… implizit, wie ein latenter verhohlener Bezug in der Blondelschen Philosophie”. Ne LAction del 1893 compare in forma implicita; nella Lettre del 1896 e ancora di più in Histoire et Dogme (1904), invece, il pancristismo è per così dire una terra firma.

  Gli aspetti ora richiamati sono, quindi, di importanza decisiva per la comprensione del pensiero di Blondel, perché scaturiscono tutti dalla sua vocazione giovanile e ne sorreggono l’intera impalcatura discorsiva, anche se sono rimasti in gran parte inesplorati e ignorati dai teologi di mestiere, salvo lodevoli eccezioni come quella di Jean Mouroux. Lo stesso filosofo di Aix-en-Provence, d’altronde, è stato spesso esitante a1 riguardo: i1 passo era grave e le difficoltà da superare, nel rigido clima intellettuale e religioso dell’epoca, soffocanti. Per di più il termine pancristismo rinviava ad una eresia. Tutto questo lo ha indotto, nelle pagine preparatorie de L’Action, ad essere cauto, a non appropriarsene e a parlarne come di una “espressione inusitata e ambigua”. Tuttavia, nella sostanza del discorso, i1 pancristismo compare già nei Carnets intimes; e, poi, affiora in un passo de L’Action del 1893, dove si parla del “Médiateur…qui fût comme l’Amen de l’univers”. Si tratta qui di una cristologia, per così dire, dall’alto, che a partire dal Verbo discendente cerca di giungere all’umanità, cioè al Gesù della storia, per evitare ogni rischio di riduzionismo docetistico. La preoccupazione costante di Blondel è quella di mostrare come e perché il Cristo si fa uomo e proprio qui la sua cristologia manifesta aspetti di indubbia originalità, anzi i suoi tratti più originali, perché presenta l’incarnazione e l’unione ipostatica come filantropia e fa del Cristo colui che solidarizza con tutti gli uomini.

    Sul terreno cristologico, tutto ciò lo conduce, per poter illustrare il senso dell’annichilamento kenotico (Fil. 2,6 ss.) – che è assolutamente libero – ed evitare l’apoteosi della carne, a rielaborare il materiale concettuale espressivo della grande tradizione cristiana e a dire che “gli ‘stati’ di Cristo sono altrettante forme della condiscendenza divina, della solidarietà con l’umanità”. Così la spoliazione divina (Fil. 2, 7s.; Gal. 1,4; Gal. 2,20), l’ensarcosi dei logos (Giov. 1.14), diventa la cifra di tutte le cose e l’esinanimento della pienezza per accipere formam servi sta ad indicare il massimo dell’umanizzazione. Allora l’abbassamento, o – il che è lo stesso – la sofferenza, è anche filantropia: i due termini si co-appartengono e 1a coscienza teandrica di Cristo non viene volatilizzata nella divinità, tanto che Egli, per Blondel, patisce di ogni male, di ogni peccato, ed è perciò “l’universale stigmatizzato dei dolori umani” e nello stesso tempo un universale di carità”. Vi è perciò intima solidarietà tra tutti i membri dell’umanità e Dio e poi tra Dio e l’uomo, e amare l’uno significa amare gli altri e viceversa, come afferma lo stesso Blondel, citando a proprio sostegno un passo mutuato da Leibniz.

  Questo vocabolario al giorno d’oggi appare obsoleto perché termini come abnegazione, rinuncia, sofferenza, sacrificio, ecc. sono stati privati delle loro radici teologiche e spirituali classiche, edulcorati e in definitiva banditi dal catechismo cristiano. In tal modo, la teoresi blondeliana, che di essi è intenta a rendersi conto e su di essi si fonda per considerare la filosofia come la santità della ragione, non sembra sfuggire alla stessa sorte. Tuttavia, osserva Tilliette, nonostante queste circostanze non propriamente favorevoli, è più che mai auspicabile che i filosofi “gavés de Heidegger et de Derrida, se mettent à l’école de Blondel. Ils trouveront un maître, un vrai”.

  In che misura, però, ci si può ancora affidare al filosofo di Aix-en-Provence per dar vita ad un Übergang tra il teologico e il filosofico e così elaborare una cristologia filosofica? Egli compie un impressionante sforzo per intendere in sede filosofica il significato effettivo del problema religioso e perciò respinge e la cosiddetta filosofia separata e la “philosophie gagée”. 1n particolare, nella Lettre sur les exigences de la pensée contemporaine en matière d’apologétigue … (1896), con l’estendersi e l’approfondirsi delle sua ricognizione critica volta a conoscere e a valutare i diversi metodi di apologetica e la loro portata, Blondel cerca di delimitare i rispettivi campi d’indagine e afferma che occorre innanzitutto verificare la possibilità di coesistenza tra una religione che non è una pura costruzione umana e una filosofia che non intende abdicare alle sue prerogative. Per far questo, la teologia non deve assorbire la filosofia e, di contro, quest’ultima non deve sopprimere o usurpare le competenze della teologia e non può nemmeno ignorare l’esigenza in noi – nel senso dell’agostiniano totum exigit te, qui fecit te (Sermo 25) –  del soprannaturale, anche se la sua realtà, presa nella sua essenza, è completamente al di fuori della portata della filosofia. Infatti, in ogni azione umana tale, in ogni tappa, ci sono dei segnavia impliciti che orientano il percorso e che il risultato conclusivo della filosofia dell’azione non crea, ma vede e si limita soltanto a mettere in relazione, in una visione d’insieme, e quindi a ratificare. Tant’è vero che il C’é delle ultime battute discorsive de L’Action è preparato dalle parti IV e V e rappresenta la sua rigorosa conseguenzialità logica 1a filosofia, nella sua piena libertà, perciò ha come suo compito primario quello di mostrare che le verità espresse dai dogmi possono non solo coesistere, ma anche incontrarsi col mondo del pensiero tout court. L’inserimento di queste verità nel discorso “filosofico e antropologico si tramuterà poi in vantaggio per la teologia, come è stato dimostrato dalla discussione sul soprannaturale, alimentata al punto di partenza dall’ispirazione blondeliana. Inversamente, una dialettica metodicamente sviluppata, magnetizzata dalla fede e dai dogmi, costruisce una filosofia dai lineamenti distinti, ‘filosofia del Vangelo’, ‘santità della ragione’, obseqium rationale, lettura immanente della Rivelazione. Blondel aveva paura di chiamarla filosofia cristiana, a causa degli equivoci che intaccano il sintagma, ma in realtà egli rincarava la dose chiamandola senza mezzi termini ‘filosofia cattolica’ “.

Antonio Russo

Università di Trieste