Carl Stumpf

Cornelio Fabro interprete di Carl Stumpf

Antonio Russo

University of Trieste, Italy

Riassumendo i termini del discorso, possiamo affermare che il progetto brentaniano dal Fabro viene preso a costante e assiduo termine di confronto, che si risolve sul terreno speculativo in una comune difesa del realismo gnoseologico aristotelico- tomista. Quel che così si viene a colpire nei suoi capisaldi è il principio dell’associazione, il concetto kantiano di sintesi a priori e la tesi idealistica della irrelatività assoluta del pensiero. Ciò non impedisce, tuttavia, che su taluni punti si avverta anche un chiaro dissenso tra i due autori: vengono respinti, infatti, taluni sviluppi del pensiero di Brentano e della sua scuola perché le giuste istanze portate avanti dal filosofo tedesco, negli ulteriori sviluppi del suo argomentare si diramano in una diversità di modi che presentano non pochi problemi e inadeguatezze. In altri termini, Brentano «per aver accettato, da una parte, con soverchia fiducia, il primato dell’analisi empirica, e per essersi fermato ad un aristotelismo troppo storicamente determinato, senza tener conto degli sviluppi della tradizione posteriore arabo-latina, non è riuscito ad arginare la corrente di problemi nuovi che venivano ad imporsi, e ad impedire che prima i suoi discepoli, come il Meinong, il Marty e lo Husserl fra i principali, e poi egli stesso sconfinassero in forme aperte di razionalismo. I problemi che erano stati con sagacia ammirevole prospettati, ritornavano, a questo modo, allo stato iniziale, qui si vorrebbe tentare in forma modesta quanto si voglia, di colmare questa inadeguatezza che il metodo Brentaniano ha mostrato nella parte speculativa, a partire dall’analisi fenomenologica in cui egli è stato maestro»[1].

    Le inadeguatezze che Fabro intende colmare nel suo lavoro, e che costituiscono anche i punti di dissenso nei riguardi del Brentano e della sua scuola, si possono riassumere nei due seguenti punti:

1.«soverchia fiducia» nel «primato dell’analisi empirica»;

      2. «un aristotelismo storicamente troppo determinato»

    Questi limiti, secondo Fabro, sembrano non solo non consentire al filosofo tedesco di assolvere al compito di raggiungere un equilibrio che risolva le tensioni interne al suo pensiero, ma, anzi, paiono invalidargli anche ogni tentativo di arginare l’emergere di nuovi problemi; e, poi, sembrano far sì che in definitiva egli, e ancor di più i suoi discepoli, vadano a parare in forme di razionalismo. In particolare, nel caratterizzare «i fenomeni psichici attualmente presenti», Brentano ritiene che essi siano i «soli fatti immediatamente evidenti», non i fenomeni fisici, non le res concrete; e così, per il filosofo friulano, „pare“ che il filosofo tedesco «alla fine, faccia delle concessioni notevoli al fenomenismo che vuol criticare, soprattutto con l’affermazione che l’immediatezza gnoseologica è riservata, in modo esclusivo, all’atto psichico come tale».[2] In tal modo, però, questa esclusione «non è estranea probabilmente sia allo indirizzo spinoziano che prese l’ultimo pensiero del Brentano ed all’idealismo senza veli dell’ultima gnoseologia husserliana, sia all’intellettualismo esagerato mostrato dalla maggioranza dei suoi discepoli nella trattazione dell’origine della ‚qualità di forma‘»[3].

Fabro e la scuola di Brentano: Carl Stumpf

Sfugge, sia pure in parte, a questi rilievi critici, la posizione di Carl Stumpf, allievo prediletto di Brentano, che con i testi della sua tarda maturità «costituisce uno dei contributi più notevoli per la difesa del realismo gnoseologico contro ogni forma di fenomenismo e d’idealismo», soprattutto con la sua opera postuma Erkenntnislehre (1939-1940), in cui egli si muove nel senso di una «adesione più fedele all’Aristotelismo“[4]. Per Fabro, infatti, Carl Stumpf, riappropriandosi della famosa teoria aristotelica dei sensibili comuni e, poi, della teoria della «funzione sintetica della coscienza (‚senso comune‘) …arriva ad una teoria puramente psicologica che s’avvantaggia di molto – anche oggi – su qualsiasi altra, finora proposta dal pensiero moderno, Kant compreso, perc hé conserva il carattere originario delle strutture primitive e riconosce il contributo dell’esperienza»[5]. Non a caso, questa prospettiva portata avanti dallo Stumpf costituirà per Fabro il quadro concettuale e programmatico, su cui fondarsi per poter dar vita, nel secondo volume del 1941, ossia Percezione e pensiero, alla «costruzione di un realismo gnoseologico della esperienza a sfondo funzionalistico»[6], perché, sempre secondo Fabro, Stumpf ha portato un «contributo decisivo alla soluzione del problema fenomenologico»[7]; e ha, poi, investito della sua critica, e a ragione, «le deviazioni idealistiche della fenomenologia husserliana»[8].

Lettera inedita di Cornelio Fabro ad Agostino Gemelli su Stumpf

In una lettera tuttora inedita, indirizzata il 19 maggio 1939 ad A.Gemelli, Fabro testualmente, e senza mezzi termini, afferma:

«Rev.mo Padre,

ho ricevuto lo Stumpf e Le sono gratissimo dello squisito favore. Ne ho già cominciata la lettura che è facile e piacevole; quanto al contenuto, a giudicare da una prima impressione, mi pare molto interessante particolarmente per il problema della percezione. Fra tutti i discepoli di Brentano mi pare che lo St. sia quello che è rimasto più fedele all’Aristotelismo, ed in questo libro riprova apertamente le direzioni idealiste e spinoziste nelle quali si era messo il suo maestro negli ultimi anni. Quando mi sarò reso conto delle proporzioni e del contenuto generale del lavoro, Le manderò volentieri una recensione anche perché lo St. pone il problema psicologico della percezione al centro delle tante deprecate
discussioni gnoseologiche da Locke in quà ed ha parole forti contro il Kantismo e l’Idealismo»[9] (Archivio storico Università Cattolica, Milano, prot.82/127/1170).

Allora Stumpf con la sua riflessione assurge a termine di confronto privilegiato e occorre spostare su di essa l’obiettivo, mettendone in risalto il valore speculativo. Questo compito viene svolto, con piena consapevolezza critica, nel testo Percezione e pensiero, che, non a caso, vuol essere una continuazione e un completamento, da un punto di vista rigorosamente speculativo, della ricerca condotta avanti in La fenomenologia della percezione[10]. In particolare, in Percezione e pensiero, Fabro intende mostrare «l’eccezionale importanza»[11] degli esiti a cui sono giunti alcuni studiosi e indirizzi, sul terreno della psicologia moderna più progredita e autorevole che ha voluto ri-effettuare una tematizzazione di esigenze che necessitavano ancora di una soluzione. Stumpf per varie ragioni – allievo di Brentano, fine conoscitore del pensiero dello Stagirita, psicologo di vaglia, maestro degli iniziatori del movimento gestaltista – costituisce «l’accostamento più suggestivo dei nuovi problemi con l’Aristotelismo»[12], con la sua appropriazione della qualità di forma, in opposizione alla scuola di Graz e contro il Meinong, e poi con la sua teoria della «unificazione immediata dei dati sensoriali…possibile per via dell’unità di coscienza: dottrina aristotelica questa, rimessa in onore dal Lotze e dal Brentano. E le cosiddette ‚qualità di forma‘ altro non sono che i xoin¾ aŠsqhsij di Aristotele»[13].

    Queste ragioni inducono Fabro ad affermare senza mezzi termini: «E‘ questa sostanzialmente la soluzione che intendo di riprendere ed integrare in questo lavoro»[14].

    Per il filosofo friulano, lo Stumpf muove, nelle sue analisi psicologiche, dalla distinzione di Erscheinungen (o presentazioni fenomenali, contenuti immediati) e psychische Funktionen (funzioni psichiche, o atti che colgono i contenuti sensoriali unificati in complessi), che riveste un carattere fondamentale, perché per lui, nel processo conoscitivo, l’intimo e reciproco interagire dei due termini condiziona tutta l’apprensione del reale. Infatti, non si danno presentazioni intese come contenuti reali senza riferimento alle funzioni e viceversa: entrambe cioè si oggettivano le une per le altre nell’atto del percepire[15]. Inoltre, le qualità di questi fatti in genere si presentano «sempre assieme ad altre qualità che le integrano e che perciò si dicono attributi delle sensazioni». In ciò, dunque, appare chiaro che le sensazioni si manifestano non isolate, ma di solito come complessi di sensazioni, o meglio come il materiale, su cui, poi, si viene esercitando il processo di astrazione, che, di costruzione in costruzione, darà vita infine alle elaborazioni della scienza e delle arti [16].

    Due, quindi, sono i punti attorno a cui si snoda la riflessione psicologica di Stumpf:

  1. La teoria degli attributi, di esplicita derivazione aristotelica;
  2. La teoria della percezione delle relazioni, condivisa con la Denkpsychologie.

 

Per poter intendere in tutta la sua portata questo discorso, secondo Fabro, occorre tener presente che il filosofo di Berlino parla del percepire come di un «accorgersi di qualcosa» e opera una distinzione tra percezione esterna ed interna: la prima ha a che fare con le presentazioni fenomenali o sensoriali; la seconda invece si occupa delle funzioni psichiche. E, poi, distingue tra «percezione di contenuti assoluti e percezione di relazioni», perché «è l’apprensione di una relazione fra le parti di un tutto o di molteplici relazioni in un complesso ciò che costituisce propriamente la percezione al suo stadio di conoscenza distinta…Questo complesso di relazioni del materiale sensoriale è ciò che costituisce la Gestalt…L’apprensione di una Gestalt sorge perciò sul fondamento delle presentazioni sensoriali, interne ed esterne, che formano il sostrato di tutta la macchina psichica; come la Gestalt si pone, a sua volta, sostrato per i processi di pensiero»[17]. Di conseguenza, l’apprensione di una Gestalt, o anche tutto relazionale, è immediata allo stesso modo dei contenuti assoluti: essa non è una Nachwahrnehmung, come voleva l’Associazionismo, ma una Mitwahrnehmung, una «con-percezione…le ‚Gestalten‘ sono percepite assieme e nei (in und mit) contenuti assoluti»[18] e perciò la loro percezione implica necessariamente il riferimento all’esterno, agli oggetti a cui esse si riferiscono e su cui si fondano.

   Questo percepire in e assieme «è una percezione di relazioni sul fondamento di una presentazione unica o ripetuta di contenuti sensoriali relativi»[19]; e di conseguenza, la Gestalt ha come Träger «un complesso membrato», perchè essa viene «appresa come un’unità, come un tutto, in cui però vi sono dei membri, delle parti da distinguere, come per ogni relazione rispetto al suo fondamento»[20]. Varie sono le categorie di Gestalten, tra cui in particolare quelle fondate (naturali e date nel complesso sensoriale), che precedono le altre e fanno si che la coscienza posa operare l’analisi e la sintesi, e quelle non fondate (dovute a interventi di carattere soggettivo). Altra divisione è quella tra Gestalten spaziali, ma anche acustiche, ulteriormente suddivisibili in simultanee e successive; le seconde, a loro volta, si distinguono in continue e discrete. Qui riemerge il problema della percezione del continuo. Stumpf, infatti, considera l’estensione come un attributo inscindibile dai contenuti della sensazione e dai complessi di sensazione. Tuttavia, sorge una difficoltà: per lo Stumpf il continuo è divisibile all’infinito, epperò «percepiamo solo il continuo in relazione ai limiti che in esso sono tracciati. Ma perché noi percepiamo il reale, non anche il possibile?…secondo lo St. le apparizioni sensoriali sono fatte così, che nella loro natura non vi è alcuna necessità di porre un termine al processo di partizione di punti, anche se la qualità dei nostri organi di senso…pone in realtà tali limiti. La percezione di continuità è, a questo modo, una conoscenza che noi abbiamo per via di certi determinati contenuti di percezione, ma essa stessa non è un contenuto di percezione»[21]. Questa discussione induce lo Stumpf ad ammettere che, poiché esiste la «possibilità di una divisione indefinita del continuo, se si danno perciò delle differenze di sensazione inavvertita…si possono dare anche delle ‚sensazioni inavvertite‘»[22]. E proprio l’introduzione di questo ulteriore aspetto lo porta ad un ritorno a posizioni aristoteliche. In altri termini, ci sono delle relazioni «che possono nei singoli casi restare non percepite…si trovano presenti nel complesso sensoriale, in modo puramente fisico…restano in qualche modo ‚compresenti‘ a quelle avvertite nella coscienza: questa ‚coscienza concomitante‘ è dallo St. identificata con la xoin¾ aŠsqhsij di Aristotele»[23].

   Lo Stumpf, quindi, prende atto del fallimento dell’Associazionismo, e anche dei tentativi di spiegazione razionalista, e realizza un progresso rispetto ad entrambe le posizioni, considerando «le relazioni immanenti ai contenuti percettuali. L’Empfindungskomplex contiene le relazioni, sia che queste vengano avvertite, sia che restino inavvertite: avvertite che siano, l’Empfindungskomplex diventa per la coscienza un Verhältnisganz, cioè una Gestalt. Il percepire raggiunge perciò il suo sviluppo completo in due stadi: a)il distinguere le relazioni percettuali e b) il riunirle ‚sinotticamente‘ in una unità (Zusammenfassung), onde sia possibile la intuizione unitaria della Gestalt (Zusammenschauen)“…I due stadi…possono essere anche indicati con i termini di selezione ed organizzazione» e formano la struttura portante del processo percettivo[24].

   Questo secondo Fabro è il maggior guadagno della teoria dello Stumpf. E tuttavia, nonostante i pregi, essa presenta delle difficoltà. Riassumendo i termini del discorso, possiamo affermare che:

  • Stumpf critica giustamente l’Associazionismo e si riappropria della teoria aristotelica dei sensibili  comuni, ammettendo, con la sua teoria delle Erscheinungen, un certo grado di struttura che è proprio delle qualità sensoriali;
  • poi, dalla critica al Gestaltismo perviene a riconoscere, con la sua teoria delle Funktionen, il carattere embrionale di questa struttura e la necessità di un suo sviluppo ulteriore per il problema della conoscenza;
  • questo sviluppo, ossia l’organizzazione dei fenomeni, viene reso più complesso dal rapporto con  e condizioni fisico-fisiologiche, che fa sì che ci sia un passaggio      dall’indistinto al distinto, ossia una “differenziazione“ di contenuti distinti, ma anche una «‘integrazione‘ dei medesimi nelle caratteristiche per le quali è possibile la differenziazione dal nucleo primario e la loro sussistenza fenomenale»;
  • questi due momenti avvengono in maniera simultanea, e ciò fa si che ci sia una necessaria reciprocità nell’acquisizione dell’uno e dell’altro: quanto avviene nell’uno passa anche nell’altro e viceversa.[25]

     Questo processo di differenziazione-integrazione dei contenuti formali o sensibili comuni, secondo Fabro, ex parte objecti, fa emergere tre problemi, perché esso si svolge attraverso tre direzioni:

1)      « verso il basso, rispetto ai sensibili propri in generale;

2)      nella propria sfera, rispetto agli altri sensibili comuni per ciascuno di essi in particolare;

3)      verso l’alto, rispetto alle funzioni superiori del pensiero, di cui i sensibili comuni, a differenza dei propri, costituiscono, in una coscienza sviluppata, un campo di oggetti che può raggiungere la più alta elaborazione noetica (scienze matematiche ed attività artistica, tecnica)»[26].

   Secondo Fabro, Stumpf ha preso in esame e analizzato egregiamente soltanto i primi due aspetti, ignorando completamente il terzo, che non è di certo marginale nell’ambito dell’organizzazione dei fenomeni psichici. Ci troviamo così di fonte ad un quadro di sistemazione teorica, il cui ulteriore svolgimento è ancora tutto da fare, anche se ci sono stati degli autori che si sono mossi in questa direzione e hanno cercato di effettuarne una tematizzazione, proprio per ben cogliere il fitto tessuto di relazioni che interviene in maniera essenziale a connettere questo punto agli altri due nella vita psichica presa nella sua interezza. In particolare, scrive Fabro, su questo terreno si è mossa la Neoscolastica, il cui merito perciò è stato quello «d’aver prospettato il terzo punto (Michotte, Gemelli, Moore)», che «da questo momento formerà l’oggetto esclusivo della indagine, data la importanza decisiva che essa ha, almeno per noi, per il superamento dell’idealismo e, prima, della sua radice, il criticismo kantiano»[27]


[1] C.Fabro, La fenomenologia della percezionecit., p.39.

[2] Ibid., p.155.

[3] Ibid.

[4] Ibid., p.39.

[5] Ibid., p.434.

[6] Ibid., p. 41.

[7] Ibid., p.35.

[8] Ibid., p.36. Sulla figura e sull’opera di Carl Stumpf, e sui suoi rapporti con Franz Brentano, tra i lavori più recenti, cfr. Brentano Studien, X, 2002-2003, numero monografico sul tema: Essays über Carl Stumpf und Franz Brentano, a c. di W.Baumgartner e A. Reimherr; inoltre, la biografia di Stumpf, a c. di H.Sprung (unter Mitarbeit von L.Sprung), Carl Stumpf – Eine Biographie. Von der Philosophie zur experimentellen Psychologie, Profil Verlag, München/Wien, 2006.

[9] Si tratta, qui, del  primo dei due volumi postumi di C. Stumpf, Erkenntnislehre, come si evince da altre lettere indirizzate allo stesso Gemelli oltre che dalla recensione che ne fece Fabro, in Rivista di Filosofia Neoscolastica, 1939, XVII, pp.431-435.

[10] C. Fabro, Prefazione, in  C. Fabro, La fenomenologia della percezionecit., p. VII.

[11] C. Fabro, Percezione e pensierocit. p. 87.

[12] Ibid.

[13] Ibid., p.89.

[14] Ibid.

[15] Ibid., p.90.

[16] Ibid., pp.90-91.

[17] Ibid., p.92.

[18] Ibid., p.93.

[19] Ibid., p.94.

[20] Ibid., p.95.

[21] Ibid., pp.97-98.

[22] Ibid., p.99.

[23] Ibid., p.100.

[24] Ibid., p.103.

[25] Ibid., pp.148-149.

[26] Ibid., p.149.

[27] Ibid., pp.149-150.